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domenica 3 febbraio 2019

Luigi Di Maio | TAV con noi non si fa


Di Maio minaccia la crisi sulla Tav, con noi non si fa

Gelo Salvini. Dibba, non rompa o torni da Cav. Conte media



Dal tunnel della Tav, il governo rischia di uscire a pezzi. Lo rende chiaro Luigi Di Maio quando chiude a ogni possibile mediazione: "Finché ci sarà il M5s, non c'è storia". Al suo fianco, dalle piazze d'Abruzzo, Alessandro Di Battista si fa greve: "Se la Lega intende andare avanti su quel buco inutile che costa 20 miliardi, tornasse da Berlusconi e non rompesse i coglioni. E' chiaro?". 

Matteo Salvini è a pochi chilometri, indossa una maglietta del Giulianova e arringa i teramani. Legge, ma sceglie di ignorare i toni ultimativi: "Troveremo un'intesa, tagliando i costi". Stavolta il governo davvero traballa, concordano i "gialli" e i "verdi". I telefoni sono roventi, le basi in subbuglio. Nessun contatto si segnala tra i leader di M5s e Lega. Giuseppe Conte deve intervenire, a farsi garante di una decisione sulla base di dati "trasparenti".



A surriscaldare gli animi è stata la passeggiata di venerdì di Salvini a Chiomonte. A dare fuoco alle polveri, la lettura di messaggi dei militanti e dei sondaggi che danno il M5s sempre più in sofferenza. La Tav diventa per Di Maio l'ultimo baluardo di una lunghissima campagna elettorale che punta alle europee di fine maggio, passando per le regionali in Abruzzo, Sardegna e Basilicata. E così, passeggiando per le vie di Penne (Pescara) con al fianco Di Battista, che incarna l'anima 'di lotta' del M5s, il leader pentastellato dice No: "Finche ci sarà il Movimento 5 Stelle al governo la Tav Torino-Lione non ha storia, non ha futuro. Il cantiere ancora non c'è ma lo vogliono le peggiori lobby, che hanno sostenuto Renzi e Berlusconi". 


Le parole del vicepremier scavalcano quelle del ministro Danilo Toninelli, che annuncia la ricerca di "un punto di caduta": entro febbraio, "tra pochi giorni", arriverà - spiega - il risultato dell'analisi costi-benefici. Fonti M5s del Mit vicine al dossier spiegano che il rapporto dei tecnici è "fortemente" negativo. Ma i leghisti spingono per il Sì, anche condizionato a un taglio dei costi. E' questa la linea di Salvini, convinto che un'intesa si possa e si debba trovare. Non c'è infatti solo il No netto dei Di Battista. Ma anche il Sì deciso del Nord leghista, che spinge perché l'opera si faccia "e basta", senza modifiche. Qualche parlamentare cita l'ipotesi referendum o di far mancare i voti in Parlamento per lo stop all'opera (ma è dubbio che serva): la pressione è fortissima. Dai vertici di via Bellerio arriva però un messaggio "realista e di buonsenso". 
E ai Cinque stelle che sventolano il "No", Salvini replica ostentando calma. In ambienti parlamentari c'è chi ipotizza uno scambio tra la Tav e il No al processo per Salvini sul caso Diciotti: non è esiste, smentiscono da ambo i lati. E dal governo provano a placare le fiamme. A farsi garante della Lega rispetto alle intemerate pentastellate, decide di scendere in campo il presidente del Consiglio. Conte interviene con una nota a garantire che "la decisione finale" avverrà "non sulla base di sensibilità personali o di una singola forza politica" ma di una valutazione di "tutte le implicazioni tecniche, economiche, sociali", sulla base della analisi costi-benefici: "Renderemo trasparenti i risultati".

Ma più che i dati, concordano leghisti e pentastellati, conta la politica. Ecco perché Salvini fa leva sull'immagine del M5s come partito dei no: "Senza pregiudizi, se l'opera riduce i tempi, l'inquinamento e conviene, perché non farla?", domanda facendo finta di non sentire il "non rompa i coglioni" di Di Battista. Il balletto è singolare. "Discorso chiuso", dichiara Di Maio. E Salvini: "Non vedo spaccature". "Torni da Berlusconi", tuona Di Battista. "La Tav serve agli italiani", ostenta distacco il leghista, tra una piazza e l'altra. 

Di Maio e Di Battista - in un siparietto dalla stazione di Pescara - fanno sapere di volere le opere, ma quelle "utili" come la "Pescara-Roma". Poi rilanciano temi come la lotta alle lobby del gioco e pure a Benetton su autostrade. E la Tav? "Con i 20 miliardi che servono ci facciamo 2500. Ora apriamo un tavolo per accelerare i cantieri. A Salvini dico di non farci dividere e andare avanti sulle misure su cui siamo d'accordo", dice il capo M5s. Il finale di partita non è scontato. Perché il governo non cada c'è chi vorrebbe rinviare la scelta a dopo le europee. Ma M5s ha bisogno di dire No e lo vuole prima del voto.

(Fonte ANSA.it)

sabato 5 maggio 2018

Manlio Di Stefano (M5S) una crisi di governo voluta




Dunque Matteo Salvini, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi che hanno scritto e votato l'immonda legge elettorale che ci ha consegnati a questo stallo, nonostante il MoVimento 5 Stelle l'avesse annunciato in anticipo, oggi dicono di voler fare un governo di scopo per scrivere una nuova legge elettorale e, nel frattempo, dare le risposte che gli italiani attendono da tempo.


Quindi secondo Salvini, Forza Italia e Partito Democratico, che hanno votato e sostenuto legge Fornero, Jobs Act, Buona Scuola, riforme basate sull'austerità e tutte le porcate legate all'immigrazione, da oggi dovrebbero tornare indietro per virtù dello Spirito Santo e dell'amicizia con la Lega Nord. Non solo, dopo aver scritto una legge elettorale pensata proprio per far fuori il M5S e qualsiasi nuova forza politica, oggi, che sono ancora più insignificanti in termini elettorali, dovrebbero partorire una legge veramente democratica.
Se non lo sapessi complice definirei Salvini un ingenuo.

(Manlio Di Stefano)

giovedì 3 maggio 2018

Berlusconi: La Genesi (Film Documentario)


Un documentario d'inchiesta spietato sulla primissima ascesa al potere di una delle figure più ricche e ambigue della nostra storia recente. Distribuito in edicola il 21 novembre 2012 in allegato al quotidiano "Pubblico" (che ha chiuso poco dopo, rendendo questo documentario di fatto introvabile).





Regia di Giorgia Pietropaoli e Giulia Migneco. Trama: Correva l’anno 1963: un giovane imprenditore milanese si affacciava in maniera prorompente nel mondo degli affari creando la redditizia Edilnord sas senza avere un centesimo in tasca. Apparentemente, solo una fideiussione concessa dalla piccola Banca Rasini aveva permesso a questa società di cominciare a costruire quella che oggi è conosciuta come Milano 2. Silvio Berlusconi iniziava così il suo percorso verso la ricchezza e la fama, raggiunte grazie ad un raffinato sistema, sviluppatosi negli anni, di finanziarie offshores, di scatole cinesi e di società costituite e subito liquidate. Non è tutto così regolare e scontato: quella piccola fideiussione iniziale, in realtà, nasconde molto di più. Scopo dell’inchiesta “Berlusconi: la Genesi” è gettar luce sull’origine dei primissimi finanziamenti del Presidente del Consiglio, sulle figure che hanno agito nell’ombra e sulle società e sugli istituti che hanno contribuito alla sua ascesa. Se appare subito chiaro il legame con ambienti mafiosi per via dei capitali investiti dalla Banca Rasini (banca che Michele Sindona indicò come quella utilizzata dalla mafia a Milano), meno evidenti e più oscuri appaiono collegamenti con banche e finanziarie svizzere e italiane, con Licio Gelli e con la sua P2 e con una miriade di personaggi alquanto ambigui e spesso oggetto di inchieste giudiziarie, da Ercole Doninelli (indagato più volte per riciclaggio di denaro sporco e per bancarotta fraudolenta) a Tito Tettamanti (coinvolto nel caso Enimont), passando per Roberto Calvi, il banchiere di Dio e infine l’oscuro Michele Sindona. Attraverso un’indagine approfondita e un vero e proprio viaggio d'investigazione che parte da Roma e Milano, percorre la Svizzera ed esplora le Isole delle Bahamas, gli autori ricostruiscono scrupolosamente quello che oggi rappresenta uno dei più grandi misteri della finanza italiana, cercando di dare finalmente risposta a quelle domande tanto scomode quanto legittime: da dove ha preso il denaro Silvio Berlusconi? Chi lo finanziava realmente e quali interessi lo muovevano? Dalla Telemaco, una nuova docu-fiction “proibita”, rigorosamente documentata, che riesce a sorprendere e a sconvolgere con le sue rivelazioni.


Intervistati:
• Carlo Calvi, figlio di Roberto Calvi
• Licio Gelli, Maestro Venerabile della Loggia P2 • Ezio Cartotto, ex dirigente di Publitalia (Fininvest), fondatore di Forza Italia e amico di Silvio Berlusconi • Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino • Mario Guarino, giornalista e autore de "L'orgia del potere" • Ferruccio Pinotti, giornalista e autore de "L'unto del Signore" • Udo Gumpel, giornalista e autore de "L'unto del Signore" • Michele Gambino, giornalista e autore de "Il cavaliere B." • Gianni Barbacetto, giornalista e autore de "B. Tutte le carte del Presidente" • Leo Sisti, giornalista e autore de "L'intoccabile" • Antonio Ingroia, procuratore aggiunto della Procura di Palermo • Giuseppe Lo Bianco, giornalista e autore de "Profondo Nero" • Domenico Gozzo, procuratore aggiunto della Procura di Caltanissetta • Paolo Fusi, giornalista specializzato in finanza svizzera • Fausto "Tato" Cattaneo, ex commissario di polizia svizzera sotto copertura • Gioele Magaldi, massone e leader del Grande oriente democratico • Alessandro Gamberini, legale della famiglia Calvi • Philip Willan, giornalista e autore de "L'Italia dei poteri occulti" • Giuseppe De Lutiis, studioso di intelligence e autore de "I servizi segreti in Italia" • Claudio Fracassi, giornalista, ex direttore del "Paese Sera" e di "Avvenimenti" e autore di "Berlusconi, una biografia non autorizzata" • Otello Lupacchini, sostituto procuratore generale della Procura presso la Corte d’Appello ed autore de "Banda della Magliana" • Giuliano Turone, ex magistrato ed autore de "Il caffé di Sindona" • Giancarlo Bosetti, giornalista, docente di sociologia dei media presso La Sapienza di Roma e autore de "Spin, trucchi e teleimbrogli della politica" • Piercamillo Davigo, magistrato e consigliere della Corte di Cassazione • Anna Vinci, autrice de “La P2 nei diari di Tina Anselmi” • Pino Amari, esperto P2 • Donato Masciandaro, esperto economico e direttore del Dipartimento di Economia dell’Università “Bocconi” di Milano • James Smith, ex Ministro Finanze e Governatore della Banca Centrale delle Bahamas

domenica 23 luglio 2017

Silvio Berlusconi è tornato a raccontare balle agli italiani (VIDEO)


Silvio Berlusconi, intervenendo alla trasmissione de La7 “In Onda” ha affermato che:

1) “I 5 Stelle sono i veri professionisti della politica”
FALSO!
Il MoVimento 5 Stelle è l’unica forza politica che prevede per i propri eletti un vincolo di massimo 2 mandati.

2) il MoVimento 5 Stelle vorrebbe proporre un’immediata imposta sul patrimonio per adeguarsi alla richiesta dell’Europa.
FALSO
Il Movimento 5 Stelle è contrario al Fiscal Compact e di conseguenza ai vincoli di bilancio. Nessuno ha mai affermato di voler introdurre un'imposta patrimoniale per ridurre il debito pubblico.



3) Il MoVimento 5 Stelle vorrebbe, anche applicare imposte sulle case
FALSO
Il MoVimento 5 Stelle è favorevole all’abolizione dell’IMU non solo sulla prima casa, ma anche sui terreni agricoli.

4) Addirittura, il MoVimento 5 Stelle vorrebbe introdurre un’imposta di successione del 50%.
FALSO
Il MoVimento 5 Stelle Non ha mai proposto alcuna imposta di successione al 50% sui beni.

5) Sempre secondo Berlusconi, il Reddito di Cittadinanza del MoVimento 5 Stelle costa 130 miliardi di euro.
FALSO!
Secondo l'ISTAT, il Reddito di Cittadinanza del MoVimento 5 Stelle costa 14,9 miliardi.

Menzogne e offese, quelle raccontate e dette da Berlusconi, nel silenzio più totale di giornalisti accondiscendenti e complici della disinformazione.

domenica 31 agosto 2014

Ogni sei mesi Berlusconi ci pagava 250 milioni le rivelazioni di Totò Riina


PALERMO - Salvatore Riina in carcere fa una battuta dietro l'altra sui "festini in Sardegna e in Puglia" di Silvio Berlusconi. "Mubarak Mubarak", ride durante la consueta passeggiata pomeridiana, riferendosi alla versione data dall'ex premier su Ruby, nipote del presidente dell'Egitto. "Che disgraziato, è un figlio di puttana che non ce n'è". E giù con altre risatine. Ma il tono della voce si fa serio quando inizia il racconto degli anni Ottanta e Novanta su Berlusconi: "A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi", spiega il capo di Cosa nostra al compagno di ora d'aria, il pugliese Alberto Lorusso. E anche questa frase è finita nelle intercettazioni disposte dai pm di Palermo nel processo "trattativa". 

Per la prima volta, Riina rivela come si articolò quel "patto di protezione" che la Cassazione ha accertato definitivamente, mandando l'ex senatore Marcello Dell'Utri in carcere. Perché Dell'Utri sarebbe stato l'intermediario fra i vertici della mafia e Berlusconi, che prima temeva un sequestro, poi attentati ai suoi ripetitori in Sicilia. 
È la storia di una lunga stagione, che Riina racconta così, il 22 agosto dell'anno scorso: "È venuto, ha mandato là sotto ad uno, si è messo d'accordo, ha mandato i soldi a colpo, a colpo, ci siamo accordati con i soldi e a colpo li ho incassati". Diversamente, come è emerso dai processi, andò a Catania. Conferma Riina: "Gli hanno dato fuoco alla Standa ed i catanesi dicono: ma vedi di.... Non ha le Stande? gli ho detto: da noi qui ha pagato... così li ho messi sotto. Gli hanno dato fuoco alla Standa... minchia aveva tutte le Stande della Sicilia. Gli ho detto: bruciagli la Standa". 

Ed ecco il passaggio che per i pm vale più di tutti i racconti dei pentiti al processo Dell'Utri: "A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi", rivela il capo di Cosa nostra dopo 47 minuti di passeggiata nell'atrio del carcere milanese di Opera. E spiega come iniziò tutto: "Quello... è venuto il palermitano... mandò a lui, è sceso il palermitano ha parlato con uno... si è messo d'accordo... Dice vi mando i soldi con un altro palermitano. 
Ha preso un altro palermitano, c'era quello a Milano. Là c'era questo e gli dava i soldi ogni sei mesi a questo palermitano. Era amico di quello... il senatore". Ovvero, Dell'Utri, che Riina definisce "una persona seria". Il "palermitano" dovrebbe essere invece il boss Tanino Cinà, che negli anni Settanta suggerì a Dell'Utri di mandare Vittorio Mangano come stalliere ad Arcore quando Berlusconi cercava "protezione". 

Adesso, questo monologo di Riina è agli atti del processo Stato-mafia: per i pm Di Matteo, Del Bene, Tartaglia e Teresi è una conferma del ruolo di intermediario svolto da Dell'Utri nella seconda fase della trattativa. 
Oggi, però, Riina esprime giudizi pesanti sull'ex premier, anche se precisa di non averlo mai incontrato ("Non era così famoso ai miei tempi, altrimenti l'avrei cercato"): "Noi su Berlusconi abbiamo un diritto, sapete quando? Quando siamo fuori lo ammazziamo". Precisa: "Non lo ammazziamo però perché noi stessi non abbiamo il coraggio di prenderci il diritto". Alla fine, riprende a scherzare attorno al "buffone", al "disgraziato", così lo chiama. Scherza sui soldi che Berlusconi deve all'ex moglie. 
E sul calciatore brasiliano Pato, fidanzato con la figlia dell'ex premier: "Sta Barbarella è potentosa come suo padre, si è messa sotto quello lì, lui era un potente giocatore e non ha potuto giocare più".
Prima di rientrare in cella, Riina dà del "disgraziato" al ministro Angelino Alfano. 
E Lorusso concorda: "Il più cattivo ministro di sempre, si sta impegnando per i sequestri di beni".

(Repubblica.it)